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Gregorio Rossi - ­Critico d'arte e storico dell'arte italiana



Convenzionalmente una foto viene intesa come presenza o comunicazione o vissuto sociale; nel caso di Alessandro Ostini ci troviamo di fronte ad un teorema di vissuto personale. Una fruizione estetica di forme nei confronti delle quali vi è stato un rifiuto aprioristitico di ogni collocazione oggettiva; quando per oggettivo intendo il modo usuale, collettivo, quotidiano di percepire la realtà circostante. Alessandro Ostini ritrae quello che ad un primo approccio visivo può sembrare il fantastico, ma quando un artista ci dà una serie di immagini dalle quali deve scaturire un discorso articolato è necessario chiarire il discorso che il fotografo fa con le sue foto. Sono frammenti che, appena visionati mi sono sembrati sconnessi e sparsi, soprattutto irriconoscibili; in realtà Ostini fotografa una verità ancora più definita dell’immagine generale che l’occhio percepisce. Uno dei più grandi maestri della fotografia insegnava che per imparare si sarebbe dovuto ritagliare su un cartoncino un rettangolo attraverso il quale osservare ciò che normalmente guardiamo con una percezione più ampia. Il nostro fotografo è andato oltre non entrando in un microcosmo sconosciuto ma definendo e portando alla conoscenza di tutti il particolare, il segmento che normalmente sfugge ma che costantemente ci circonda. In questo vedo la linea di confine che lo separa dal fotografo dilettante così come dal ritrattista di professione; quasi lo paragonerei ai pittori simbolisti come Moreau: il particolare del reale diventa opera d’arte e si realizza in forma estetica, in culto della bellezza, in moduli inimitabili di preziosa ricercatezza. La sua non è una fuga decadente dalla realtà, ma è una ricerca costante ed elaborata per entrare in una realtà che non ritengo affatto azzardato dire che trasforma e trasfigura in arte vera e propria. Potrei anche paragonare l’opera di lui con un viaggio nell’antica cartografia dove in quelle mappe, indubbiamente, si trovano luoghi irriconoscibili proprio perché irreali, ma vi si trovano anche particolari ormai scomparsi che però, per esempio, l’occhio esperto di un archeologo può ancora riscontrare. La rappresentazione dell’orbe terrestre fino al XVI‐XVIII secolo è stata congetturale; nell’apparenza anche le foto di Alessandro Ostini potrebbero sembrare una sua congettura del tutto personale ed immaginarie, insomma quella che potrebbe essere fraintesa come un’elaborazione cibernetica. Tutt’altro: il suo è un indagare assoluto e preciso di ciò che è alla portata del campo visivo, di quello che magari l’occhio superficialmente registra ma che non viene poi memorizzato ed elaborato in maniera raziocinante. Insomma il fotografo non ci porta alla scoperta di un altro mondo ma del mondo che attraversiamo continuamente e che lui, con la sapienza del tecnico e con la sensibilità dell’artista, integra nella completezza di ciò che tanto la natura quanto la mano dell’uomo o la casualità hanno creato completamente; quindi l’affresco nella sua totalità. Ho chiamato più volte Ostini artista e, in qualità di storico dell’arte, mi permetto di far notare che il quadro più famoso del mondo, cioè “La Gioconda”, affascina, inquieta ed attrae non solo per la figura di Monna Lisa, ma anche e forse soprattutto per lo sfondo con tutti quei particolari percepiti come una visione ad una prima attenzione superficiale e poi individuati e riconosciuti o solo intuiti dall’inconscio. Basti pensare che è di questi giorni che nel dipinto più studiato di tutti i tempi, due studiosi hanno scoperto due simboli all’interno delle pupille. Alessandro Ostini è colui che vede e ci fa vedere le lettere nascoste, ma realmente presenti negli occhi di Monna Lisa.

Gabriele Vegetti - Giornalista



Una delle scuole di Tlön nega perfino il tempo: ragiona che il presente è indefinito, e che il futuro, il passato, non hanno realtà che come speranza o ricordo presente. Un’altra scuola afferma che il tempo è già tutto trascorso, e che la nostra vita è appena il ricordo o riflesso crepuscolare di un processo irrecuperabile. (...) Le cose su Tlön, si duplicano; ma tendono anche a cancellarsi e a perdere i dettagli quando la gente le dimentichi. J.L.Borges, Tlön, Uqbar, Orbis Tertius.

Nel dettaglio, tra le pieghe di un particolare forse troviamo le tracce di una realtà che ci sfugge, perché sempre uguale a sé stessa, o perchè eccessivamente semplificata come il linguaggio su twitter o facebook. Alessandro Ostini, come un esploratore d’altri tempi, cerca con la sua macchina fotografica una realtà che sta tra gli oggetti. Che si trova proprio dove gli oggetti perdono il loro nome e diventano qualcosa che non ha più nome, che si snatura, che perde la propria identità, che si affranca dalle catalogazioni di Linneo o di Aristotele e prende forma astratta. Forse è il caso di dire anche che queste forme, queste ombre, queste gocce, questi fantasmi di oggetti che lui osserva, nella realtà non esistono perché cristallizzati in un momento che non esiste più. Perché è un sessantesimo, un centoventicinquesimo o un millesimo di vita di un tempo trascorso che ci ha sfiorato e che non abbiamo visto. Non abbiamo potuto osservare. La forza di queste immagini è il loro superare l’elemento grafico, geometrico e accattivante, per diventare qualcosa di completamente decontestualizzato e abnorme. Non esiste più un sopra e un sotto, un più piccolo e un più grande. Le assi cartesiane si sfrappolano, la geometria perde il proprio senso in percorsi frattali e caotici. E’ in questa terra di nessuno che Ostini ruba le sue immagini. Le prende da un tempo che non esiste e ci suggerisce una memoria visiva, quasi tattile, che non abbiamo mai avuto.

Sofia de Gourmont - ­ Giornalista e Critica d’Arte


 

Frenesia, ansia, fretta, orari da rispettare, innumerevoli faccende da sbrigare e troppo poco tempo per portarle tutte a termine. Si punta all’obbiettivo finale, si mette a fuoco l’arrivo e tutta la nostra attenzione e le nostre energie si piegano nello sforzo immane di raggiungere quei piccoli e grandi traguardi, fisici o mentali, quotidiani o vitali che riempiono le nostre giornate ... e tutto il resto si perde nella precarietà di un attimo. Ogni brevissimo istante vissuto, ogni minuscolo particolare attorno a noi durante la folle corsa lungo il tragitto che percorriamo è solo un turbinio di nebbia insignificante che ci sfreccia accanto e, noi, da bravi cavalli da corsa col paraocchi quali (troppo spesso) siamo, puntiamo sempre innanzi senza che nulla possa distrarci. Quante volte ci capita, lungo una strada conosciuta e percorsa innumerevoli volte, di arrivare alla meta ricordando poco o niente del breve viaggio intrapreso? Tutto ciò che di più straordinario esiste al mondo, è esattamente qui, accanto a noi; ci circonda, è sotto i nostri cechi occhi ogni singolo giorno, effimeri dettagli che compongono il tutto. Vedendo le immagini di Alessandro Ostini, ho visto quell’invisibile parte che compone il mondo, che esiste ed è meravigliosa ed imponente anche se noi non la osserviamo e non le prestiamo attenzione ... un pò come in quel famoso quesito sul rumore che fa un albero che cade nella foresta, se non vi è nessuno che possa udirlo. E sempre davanti a quelle immagini ho avuto la visione un uomo che cammina per strada in mezzo a una folla di newyorkesi da corsa all’orario di punta e che, d’un tratto, si ferma ... così, all’improvviso, senza alcun apparente motivo. Le persone dietro di lui lo incalzano e, dopo qualche breve imprecazione, lo schivano con prepotenti gomitate e passano oltre, mentre lui rimane lì, incurante di tutti e col naso per aria, che fissa quella particolare emozione che agli altri rimarrà invisibile e sconosciuta, celata dall’ansia di perdere attimi di tempo prezioso, lontani dalla consapevolezza dell’importanza e della bellezza di un minuscolo dettaglio. Così immagino Alessandro Ostini, con la sua macchina fotografica sempre a portata di mano, che coglie quelle piccole, apparentemente futili inezie, per poi presentarle ad un mondo ignaro della loro esistenza. E mentre lui, con le sue fotografie, ci racconta quel mondo delle fate celato nella nostra realtà quotidiana al quale solo pochi designati sembrano poter aver accesso , a noi non resta che perderci in quegli attimi che ci regala chiedendoci ... ma, io, dov’ero, perché non l’ho visto?

 



Andrea Benetti - ­ Critico d’arte e pittore


LA FOTOGRAFIA COME FORMA DI RIFLESSIONE
Seguo la fotografia di Alessandro Ostini da diversi anni, poiché mi affascina molto il modo in cui egli pone l'accento su un particolare, rendendolo protagonista assoluto delle sue Soggetti che vediamo spesso, direi tutti i giorni, che proprio per questo restano in un “quotidiano anonimato”, come l'acqua, le bolle d'aria in essa imprigionate, lo spigolo di un palazzo, una foglia ingigantita: ecco il segreto della fotografia di Ostini. Come se appartenessero alla teoria dei mondi paralleli, le sue fotografie snaturano l'origine, senza modificarla, decontestualizzando il soggetto. Interpreto la fotografia di Alessandro Ostini, come una metafora in cui egli ci spiega che la felicità e la bellezza sono sempre sotto i nostri occhi e che sta a noi saperle recepire nella loro semplicità, insieme a tutto ciò che di positivo la vita ci offre. L'armonia dei colori e delle forme sono punti fermi nella sua composizione dell'immagine, che spazia dalla natura incontaminata, all'opera umana, il tutto condito da un lucidissimo Spesso la fotografia gioca a cogliere l'attimo, sul rendere immortale una determinata situazione, che mai più si ripeterà, o almeno, mai si ripeterà uguale. Con la collezione intitolata “Focalis”, Alessandro Ostini rende immortale la semplicità di una bolla d'aria imprigionata o di una goccia di caffè zuccherato, inquadrate in maniera innovativa e creativa. Rende immortale ed irripetibile ciò che abbiamo sovente sotto ai nostri occhi, ma che proprio per questo motivo ce ne sfugge ormai la spontanea bellezza. Immortalare con l'obiettivo un uragano che si avvicina, od un gabbiano in volo, è senz'altro un grande momento di creatività; ma lo è ancor più, a mio giudizio, inventare “particolari emozioni” attraverso la focalizzazione, appunto, di particolari che purtroppo ci sfuggono a causa della loro familiarità e che Alessandro Ostini ci propone come se fossero una novità, estratte dal cilindro magico della sua mirabile fotografia.